I virus, in particolare quelli a Rna come i Coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma.

Ovunque, nel mondo, sono state osservate mutazioni del virus Sars-CoV-2 dall’inizio della pandemia.

La maggior parte di esse non ha un impatto significativo, ma uno sparuto gruppo potrebbe dotare il virus di nuove caratteristiche: un vantaggio selettivo, cioè una maggiore trasmissibilità; una maggiore patogenicità con forme più severe di malattia; la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita da un individuo per infezione naturale ovvero per vaccinazione.

In questi casi le mutazioni diventano motivo di preoccupazione. Perciò devono essere monitorate con attenzione e costanza.

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Inglese, sudafricana, brasiliana: le varianti che suscitano più preoccupazioni

Al momento sono tre le varianti che vengono attentamente monitorate. Ognuna di esse è contraddistinta dal nome del luogo in cui è stata osservata per la prima volta.

In tutti e tre i casi il virus presenta delle mutazioni sulla cosiddetta proteina ‘spike’, quella attraverso la quale il virus ‘si attacca’ alla cellula.

  • Variante inglese (VOC 202012/01): è stata isolata per la prima volta nel settembre 2020 in Gran Bretagna. In Europa il primo caso rilevato risale al 9 novembre 2020. Si contraddistingue per una trasmissibilità più elevata e si teme che abbia anche una maggiore patogenicità. Al momento non sono emerse evidenze di un effetto negativo sull’efficacia dei vaccini;
  • Variante sudafricana (501 Y.V2): è stata isolata per la prima volta nell’ottobre 2020 in Sud Africa. In Europa il primo caso rilevato risale al 28 dicembre 2020. Anch’essa è monitorata perché ha una trasmissibilità più elevata, inoltre dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Attualmente si sta analizzando se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti da COVID-19;
  • Variante brasiliana (P.1): è stata isolata per la prima volta nel gennaio 2021 in Brasile e Giappone. Alla data del 25 gennaio 2021 è stata segnalata in 8 paesi, compresa l’Italia. È attentamente osservata perché, come la variante ‘sudafricana’, presenta una trasmissibilità più elevata; dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino; infine si sta studiando se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti da COVID-19;

Bisogna sottolineare, come riportato dall’OMS, dall’ECDC e dall’ISS, che finora le varianti più preoccupanti non sembrano causare sintomi più gravi in nessuna fascia di età. Nelle ultime settimane aumenta il numero di varianti ‘presunte’, spesso oggetto di titoli scandalistici da parte dei media: suggeriamo di tenere come riferimento i siti ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute, per essere informati sulla scoperta di ulteriori varianti e per avere certezza delle loro specificità.

Ricordiamo che la Sars-Cov-2 si presenta con le stesse caratteristiche. Anche i sintomi sono gli stessi in tutte le varianti del virus.

In termini di trasmissibilità la variante ‘inglese’ manifesta un sensibile aumento per tutte le fasce di età, compresi i bambini. Eppure, al momento, nessuna variante sembra avere un target specifico.

Più avanti presentiamo gli esiti della prima relazione tecnica su tale variante condotta dall’ISS e dal Ministero della Salute. Questi dati, lo ribadiamo, sono in costante aggiornamento: già nelle prossime settimane avremo informazioni più dettagliate su ognuna di queste mutazioni.

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Test, farmaci e vaccini funzionano anche sulle varianti?

Per quanto riguarda i test usati per la diagnosi, la effettuano correttamente se non si basano sulla proteina spike.

Tuttavia, per discriminare se un’infezione è determinata da una variante, è necessario un test specifico altamente specialistico. È il cosiddetto sequenziamento, con il quale si determina la composizione esatta del genoma del virus.

Per quanto riguarda farmaci e vaccini, diversi studi sono in corso nel mondo per rispondere a questa domanda.

Al momento i vaccini sembrano essere pienamente efficaci sulla variante ‘inglese’, mentre per quella sudafricana e quella brasiliana si teme che possa esserci una diminuzione nell’efficacia.

Le aziende produttrici di vaccini stanno comunque studiando richiami vaccinali che possano migliorare e implementare la protezione contro le attuali e future varianti.

Per quanto riguarda i farmaci in uso e in sperimentazione non ci sono ancora evidenze definitive in un senso o nell’altro.

Secondo alcuni articoli preliminari pare che gli anticorpi monoclonali attualmente in sviluppo potrebbero perdere efficacia.

A livello internazionale la comunità scientifica e le autorità di regolatorie stanno monitorando attentamente come cambia nel tempo il SARS-CoV-2 (il virus che causa il COVID-19) e quanto i vaccini COVID-19 possono proteggere le persone da eventuali nuove varianti del virus man mano che compaiono.

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Come funziona il monitoraggio delle varianti in Italia?

L’analisi delle varianti viene effettuata dai laboratori delle singole regioni, sotto il coordinamento dell’Iss.

L’ECDC ha diffuso delle chiare regole per comprendere se una variante  del virus si stia diffondendo su un determinato territorio.

Nello specifico si raccomanda di sequenziare almeno circa 500 campioni, selezionati casualmente, ogni settimana a livello nazionale.

Il sequenziamento ha le seguenti priorità:

  • individui vaccinati contro SARS-CoV-2 che, successivamente, si infettano nonostante una risposta immunitaria al vaccino;
  • contesti ad alto rischio, quali ospedali nei quali vengono ricoverati pazienti immunocompromessi positivi a SARS-CoV-2 per lunghi periodi;
  • casi di reinfezione;
  • individui in arrivo da paesi con alta incidenza di varianti SARS-CoV-2;
  • aumento dei casi o cambiamento nella trasmissibilità e/o virulenza in un’area;
  • cambiamento nelle performance di strumenti diagnostici o terapie;
  • analisi di cluster, per valutare la catena di trasmissione e/o l’efficacia di strategie di contenimento dell’infezione.
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Gli esiti della prima indagine sulla variante ‘inglese’

L’indagine è stata condotta dall’Iss e dal Ministero della Salute, in collaborazione con i laboratori regionali.

Emerge che in Italia, così come nel resto d’Europa, c’è una circolazione sostenuta della variante. Probabilmente questa mutazione è destinata a diventare prevalente nei prossimi mesi.

A livello nazionale la stima di prevalenza della cosiddetta variante ‘inglese’ della Sars-CoV-2 è pari a 17,8%. Un tasso paragonabile ad altri paesi come la Francia, dove la prevalenza oscilla tra il 20-25%, e la Germania, dove è oltre il 20%.

L’indagine è stata svolta selezionando dei sottocampioni di casi positivi e sequenziando il genoma del virus. I campioni analizzati sono stati in totale 852 per 82 laboratori, provenienti da 16 regioni e province autonome ripartiti in base alla popolazione.

Il risultato medio è in linea con quello di altre survey condotte in Europa. Il range di prevalenze sembra suggerire una diversa maturità della sub-epidemia, determinata probabilmente da differenze nella data di introduzione della variante stessa. È presumibile, pertanto, che tali differenze vadano ad appiattirsi nel corso del tempo.

La necessità di monitorare attentamente la prevalenza della variante ‘inglese’ deriva dalla sua maggiore trasmissibilità rispetto al virus originale.

Un attento monitoraggio ci consentirebbe, assieme al rafforzamento delle misure di mitigazione, di contenere e arginare gli effetti della nuova variante. Ciò mentre si proseguono le vaccinazioni, che appaiono efficaci anche contro il virus mutato.

In futuro l’indagine sarà ripetuta per verificare la velocità di diffusione della nuova variante.

La vigilanza deve restare alta per individuare, come viene già fatto, quelle che potrebbero peggiorare la situazione in termini di trasmissibilità, sintomatologia o sensibilità nei confronti di vaccini e anticorpi.

Il testo completo dell’indagine è disponibile a questo indirizzo.

Come cambiano le misure di protezione individuale con le nuove varianti?

Al momento non sono emerse evidenze scientifiche della necessità di cambiare le misure di prevenzione.

Queste restano quelle che ormai dovremmo conoscere e già praticare da tempo.

L’uso delle mascherine e di altri dpi, il distanziamento fisico e l’igiene, in particolare delle mani.

Un’eventuale possibilità di entrare in contatto con una variante deve comunque indurci a essere particolare prudenza e ad applicare attentamente tali misure di protezione e prevenzione.

Per superare l’attuale emergenza sarà necessario che la maggioranza della popolazione sia vaccinata, un processo di cui abbiamo trattato qui.

Nel frattempo Sanismart è pronta a rispondere a questa sfida e a fornirti i migliori strumenti per affrontarla – siano questi dispositivi di protezione individuali che attraverso la sanificazione di ambienti e locali.