Quali fasce della popolazione tendono ad ammalarsi di più?
Nell’ultimo anno abbiamo dedicato numerosi approfondimenti alla salute, alla sanità pubblica, alle malattie infettive e alla prevenzione. Questo perché riteniamo che, oltre a fornirvi i più innovativi ed efficaci servizi di igienizzazione, sanificazione e dispositivi di protezione individuale, sia anche necessario sensibilizzarvi sull’importanza di adottare abitudini, atteggiamenti e scelte collettive che salvaguardino la salute collettiva.
La diffusione e la comprensione di saggi di divulgazione scientifica dedicati alla medicina, come l’egregio Spillover. L’evoluzione delle pandemie di David Quammen (edito in Italia per i tipi di Adelphi, traduzione a cura di Luigi Civalleri, Milano 2014), è fondamentale per affrontare consapevolmente le sfide del futuro e del presente.
Tra queste sfide una delle principali è la necessità di rendere effettivamente inclusivo l’accesso alla prevenzione e alle cure per tutta la popolazione. Ma quali fasce tendono ad ammalarsi di più? Esiste una correlazione tra condizioni sociali, economiche, culturali e malattie?
Gli studi sulle correlazioni tra condizioni socioeconomiche e salute
Un crescente numero di studi evidenzia i forti collegamenti tra condizioni socioeconomiche e salute. Nel 2019 sono stati pubblicati gli esiti di un progetto di ricerca che ha coinvolto dieci Stati europei, tra cui anche l’Italia, denominato “Lifepath”. Lo scopo di “Lifepath” era comprendere l’impatto delle differenze sociali ed economiche sull’invecchiamento degli individui.
Come evidenziato nella traduzione dello studio, pubblicata dalla Fondazione Veronesi, i ricercatori di “Lifepath” hanno riscontrato che «lo status socioeconomico è un fattore di rischio indipendente per la salute e per la mortalità».
Le condizioni in cui nasciamo e cresciamo, le possibilità che ci sono date e tutti gli aspetti della nostra vita che solo parzialmente dipendono dal nostro diretto controllo (quale lavoro faremo, a quali condizioni, dove vivremo, ecc), hanno un impatto importante in termini di “anni di vita persi”.
Secondo i ricercatori, se queste condizioni dovessero essere particolarmente negative potrebbero “togliere” a un individuo quasi due anni di vita. Ciò significa che la gravità del loro danno sulle aspettative di vita è comparabile al fumo, dell’abuso di alcolici ed è peggiore ad abitudine malsane, come la sedentarietà.
L’importanza di un’assistenza sanitaria gratuita e paritaria
Già la Costituzione del ‘47 provvede a riconoscere la salute come un diritto fondamentale degli individui e della collettività, dedicandogli l’articolo 32.
Nello specifico, il primo comma dell’articolo recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Un’ampia disamina dell’articolo e dei suoi commi è disponibile sul sito della Corte di Giustizia Popolare per la salute, qui.
In Italia l’assistenza sanitaria è garantita dal Servizio Sanitario Nazionale. La storia contemporanea del SSN ha inizio nel dopoguerra, sebbene si possa parlare di SSN solo a partire dalla legge 833/1978.
Il principio guida del Sistema Sanitario Nazionale avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dei suoi promulgatori, la sanità come bene universalmente fruibile a chiunque, indipendentemente dal suo status sociale, giuridico ed economico – come da principi costituzionali. Perciò il SSN prevedeva un’organizzazione capillare che, a partire dai territori, potesse aiutare la popolazione nella cura, lo Stato nella prevenzione e gli specialisti nella formazione e divulgazione.
L’esperienza di ciascuno può confermare come, a causa dei rimaneggiamenti del SSN a partire dalla legge delega del 23 ottobre 1992, n. 421 e per l’influenza di altre questioni (in particolare la riforma del titolo V della Costituzione, che ha affidato la gestione delle risorse della Sanità alle Regioni, e alle politiche economiche di austerità degli anni ‘10 del XXI secolo), l’attuale stato del SSN italiano è di grave crisi.
La necessità di ripartire dalla medicina territoriale e da una profonda revisione del rapporto con la popolazione, che da “cliente” di una serie di “aziende sanitarie” deve tornare a esserne “paziente”, sembrerebbe essere stata recepita nel Piano Nazionale di Riforma e Resilienza.
L’assistenza sanitaria non dovrebbe essere sottoposta ad alcun profitto e valore, come dimostra l’esempio virtuoso di Cuba. L’isola caraibica, nonostante il pesante embargo imposto dagli Stati Uniti e condiviso dagli Stati dell’Alleanza Atlantica, ha organizzato negli anni un’assistenza sanitaria equa e impeccabile, distintasi anche per aver creato l’unico vaccino contro la SARS-CoV-2 pubblico e di libero accesso.
Una revisione reale dell’attuale sistema normativo e organizzativo è necessaria, facendo tesoro degli errori commessi e riservando ai nostri figli una migliore situazione sanitaria e un sistema davvero inclusivo e per tutti.
Le questioni deontologiche e la sanità
Persistono, infine, numerose questioni deontologiche che prescindono dalle leggi e dall’organizzazione propriamente detta. Si tratta, però, di problematiche che possono profondamente incidere sulla vita della popolazione.
Come dimostrato dal successo della raccolta firme per istituire il cd. “referendum sull’eutanasia”, la popolazione italiana ritiene che sia necessario affrontare e chiarire alcuni temi estremamente delicati, ma anche fondamentali nella vita di ognuno. Oltre all’eutanasia, nel prossimo futuro sarà necessario intervenire sia nell’introduzione di nuove norme in materia di fecondazione.
Garantire una sanità pubblica e inclusiva passa anche per queste sfide. Anche quando raggiunte, le possibilità in campo sanitario devono essere preservate. Solo così è possibile impedire, come accaduto nello stato nord-americano del Texas, che diritto acquisiti tornino a essere reati perseguibili – come nel caso dell’aborto.
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